What’s up in Usa? Il vino italiano, che aveva chiuso il 2011 da leader incontrastato in quantità (+13% sul 2010) e valore (+16%), nel primo bimestre 2012 sembra aver subito una brusca frenata nell’export negli States: -6% in volume, e -10% in valore sul 2011. E così il Belpaese, che mantiene il primato del valore, con 181.145 dollari nei primi due mesi, viene scavalcato da Australia e Cile sul podio delle quantità.
Tuttavia, va detto che 1 bottiglia su 5 di vino straniero venduto negli Usa è italiana (20,4%), e che 1 dollaro su 3 speso per comprare nettare di Bacco non americano (29,5%) si colora di made in Italy. A dirlo sono i dati dell’Italian Wine & Food Institute, diretto e condotto da Lucio Caputo e Jacopo Biondi Santi.
Nondimeno, la contrazione delle esportazioni italiane è in contrasto con il +31,4% in quantità e il +9,4% in valore delle importazioni vinicole statunitensi nel loro complesso. In controtendenza, per l’Italia, le bollicine, che continuano a crescere sul 2011 dell’8,3% in quantità e del 4,4% in valore, su una media Usa del 10,3% in volume e dell’1% in valore.
Certo, viene da chiedersi se questa frenata sia figlia di una concorrenza sempre più agguerrita sul prezzo da parte di australiani e sudamericani, o di un’onda lunga della crisi che spinge gli americani ad acquistare vini sempre più economici (il prezzo medio all’origine per litro dei vini in bottiglia importati è stato di 5 dollari per i vini italiani, sui 3,4 per gli australiani, i 3,9 per i cileni e i 4,3 per gli argentini - capitolo a parte i francesi con 9,6 $ -), o semplicemente di scorte da smaltire di vini italiani, che sul consumatore non sembrano perdere appeal, tanto che sono sia i più scelti in assoluto al ristorante, secondo un’indagine della rivista “Wine & Spirits Magazine”, sia gli unici stranieri (insieme a Cile e Argentina) a crescere nella gdo (a +3,7% sul 2011 nel complesso, dati Nielsen Company), dove l’Italia rimane al primo posto tra i vini non americani per valore (837 milioni di dollari venduti tra gennaio 2011 e gennaio 2012).
Fonte: winenews.it
giovedì 26 aprile 2012
martedì 24 aprile 2012
GRANA PADANO DOP
Il Grana Padano è un prodotto caseario tipico dell'Italia settentrionale, nato nella pianura padana (detto anche semplicemente grana, in quanto è l'unico tra i formaggi della categoria che ha la parola "grana" nella sua denominazione riconosciuta). É un formaggio italiano a Denominazione di Origine Protetta (DOP), questo significa che tutte le tre fondamentali fasi della filiera produttiva: (allevamento e mungitura delle bovine, raccolta e trasformazione del latte in formaggio, e stagionatura) devono obbligatoriamente avvenire nella zona di origine.
È prodotto con latte bovino, di animali allevati nella zona di produzione. Le vacche possono essere nutrite solo con alimenti ammessi dal disciplinare di produzione del Consorzio di tutela. Tra i più rappresentativi il tipico fieno dei prati stabili della pianura padana, che fin dal Medioevo è l'alimento principe per le lattifere, l'erba medica, fresca o affienata, gli insilati di mais o di altre foraggere, i cereali e la soia.
Il Grana Padano è un formaggio a pasta dura e cotta. Il latte è raccolto fresco nelle stalle, ogni giorno, subito dopo la mungitura. Viene lasciato riposare in bacinelle d'acciaio. I globuli di grasso contenuti nel latte crudo affiorano naturalmente in superficie, e formano uno strato di panna. Il mattino successivo questa viene separata dal latte, ed utilizzata per la produzione del burro. Il latte parzialmente scremato, così ottenuto, è versato in caldaie di rame a forma di campana rovesciata, della capacità di circa 12 hl, con un'intercapedine (camicia), ove è fatto circolare vapore acqueo per il riscaldamento del latte e la cottura della cagliata.
Il latte viene riscaldato e si aggiunge il siero innesto naturale, che è una coltura concentrata di fermenti lattici ottenuti dalla lavorazione del giorno precedente. Si aggiunge quindi il caglio naturale di vitello e avviene la coagulazione. La cagliata viene rotta (spinatura) alle dimensioni di un chicco di riso, e successivamente cotta a 54°C circa. La cagliata riposa per un'ora circa e poi viene estratta dalla caldaia. Per ogni caldaia si ottengono due fagotti di cagliata, che sono avvolti in teli di fibra naturale (lino), messi in stampi (fascere) e lasciati asciugare su tavoli spersori in una camera calda. In questa fase sono applicati i caratteristici marchi che imprimono sullo scalzo della forma (fianco) le caratteristiche losanghe con la dicitura "Grana Padano", il codice del caseificio e la sigla della provincia, mese e anno di produzione. Inoltre ad ogni forma è applicata una placca di caseina, che diventerà parte della crosta, con un codice identificativo che permette la rintracciabilità.
Dopo 48-72 ore le forme sono immesse in salamoia satura, dove rimangono per 20-25 giorni. Terminata la fase di salatura, che ha la funzione di conservare il prodotto e di conferirgli sapidità, le forme sono estratte dalla soluzione e asciugate. Può iniziare la Stagionatura La stagionatura avviene in magazzini con temperatura ed umidità controllate. Le forme riposano, appoggiate su "scalere" che sono assi di legno naturale sovrapposte. Il periodo varia da minimo un anno (grana giovane) a oltre due anni (Grana Riserva). Durante questo periodo vengono rivoltate e spazzolate regolarmente. Dopo dieci mesi gli esperti del consorzio selezionano le forme una ad una, ed imprimono il marchio a fuoco. Alle forme che non superano l'esame di espertizzazione, vengono cancellati i marchi sullo scalzo (retinatura).
Quando è stagionato, si presenta a pasta granulosa, friabile, dal gusto deciso e saporito. Deve avere colore omogeneo con assenza di occhiature e fessurazioni. La crosta deve essere liscia, di colore paglierino, integra e priva di rosure o fessure. Il Grana Padano Dop è, assieme al Parmigiano Reggiano, il più conosciuto e apprezzato tra i formaggi da grattugia, ed è uno dei simboli del made in Italy agro alimentare e gastronomico in tutto il mondo. Una forma di Grana Padano DOP deve obbligatoriamente avere un peso variabile compreso tra 24 kg e 40 kg. per ottenere un chilo di formaggio Grana Padano occorrono circa 14 litri di latte.
Fonte: Wikipedia.org - Foto www.facebook.com/granapadano
mercoledì 18 aprile 2012
VINO E WEB, LO STATUS MONDIALE SI STUDIA IN FRANCIA
Se il web gioca un ruolo sempre più importante nel successo di un’azienda, il mondo del vino, a volte, sembra non accorgersene. Se in Italia si sta finalmente investendo su nuove tecnologie e web 2.0, con l’80% dei produttori presenti su uno o più social network e siti in netto miglioramento, come ricorda “Cantine in web” n. 11 di WineNews, c’è, però, chi sta decisamente peggio: sono i viticultori di Bordeaux.
Per uno studio della società di statistica “10h11”, che ha preso in considerazione 145 Châteaux, il 92% delle aziende ha un sito internet, ma più della metà (il 54%) non merita, secondo 50 indicatori scelti dai ricercatori, neanche la sufficienza, e solo il 19% delle aziende ha un buon sito internet, senza contare che il 57% di questi non sono navigabili da smartphone o tablet perché costruiti in flash. E solo il 4% delle cantine ha una sezione dedicata all’e-commerce. Di buono, per la ricerca, c’è che il 77% dei siti internet è in doppia lingua, francese ed inglese, il 22% è tradotto anche in cinese e l’85% delle cantine è su Facebook.
Ma il rapporto tra vino e web, in Francia, non si esaurisce con la ricerca sull’interattività dei vigneron di Bordeaux, ma anzi si allarga a Cina, Stati Uniti, Inghilterra, Spagna e Canada con lo studio, iniziato nel 2011, e che terminerà tra cinque anni, dell’“Institut du Management du Vin” di Dijon, che ha come obiettivo quello di definire un quadro preciso, a livello mondiale, su quanto si scrive nel mondo del web sul vino, e per identificare i blogger al top nei Paesi coinvolti.
I primi risultati, ad oggi, dicono che i blogger Usa sono per il 69% maschi, e il 75% di loro non ha guadagnato un dollaro dalla propria attività di blogger, e nella maggioranza dei casi (62%) non lavora nell’industria del vino. In Cina, invece, ci sono i blogger più giovani, il 75% ha tra i 26 ed i 40 anni (rispetto al 40% di blogger Usa che ha tra i 40 ed i 55 anni), quasi tutti uomini (78%) e interni al mondo del vino (81%). E, per una delle ricercatrici del programma di Dijon, Evelyn Resnick la differenza più grande tra Cina ed America è che “i blogger americani parlano di vino come piacere, quelli cinesi stanno letteralmente educando un intero popolo al vino”.
da WINENEWS.IT del 18/04/2012
Per uno studio della società di statistica “10h11”, che ha preso in considerazione 145 Châteaux, il 92% delle aziende ha un sito internet, ma più della metà (il 54%) non merita, secondo 50 indicatori scelti dai ricercatori, neanche la sufficienza, e solo il 19% delle aziende ha un buon sito internet, senza contare che il 57% di questi non sono navigabili da smartphone o tablet perché costruiti in flash. E solo il 4% delle cantine ha una sezione dedicata all’e-commerce. Di buono, per la ricerca, c’è che il 77% dei siti internet è in doppia lingua, francese ed inglese, il 22% è tradotto anche in cinese e l’85% delle cantine è su Facebook.
Ma il rapporto tra vino e web, in Francia, non si esaurisce con la ricerca sull’interattività dei vigneron di Bordeaux, ma anzi si allarga a Cina, Stati Uniti, Inghilterra, Spagna e Canada con lo studio, iniziato nel 2011, e che terminerà tra cinque anni, dell’“Institut du Management du Vin” di Dijon, che ha come obiettivo quello di definire un quadro preciso, a livello mondiale, su quanto si scrive nel mondo del web sul vino, e per identificare i blogger al top nei Paesi coinvolti.
I primi risultati, ad oggi, dicono che i blogger Usa sono per il 69% maschi, e il 75% di loro non ha guadagnato un dollaro dalla propria attività di blogger, e nella maggioranza dei casi (62%) non lavora nell’industria del vino. In Cina, invece, ci sono i blogger più giovani, il 75% ha tra i 26 ed i 40 anni (rispetto al 40% di blogger Usa che ha tra i 40 ed i 55 anni), quasi tutti uomini (78%) e interni al mondo del vino (81%). E, per una delle ricercatrici del programma di Dijon, Evelyn Resnick la differenza più grande tra Cina ed America è che “i blogger americani parlano di vino come piacere, quelli cinesi stanno letteralmente educando un intero popolo al vino”.
da WINENEWS.IT del 18/04/2012
lunedì 16 aprile 2012
I DISTRETTI DELL'AGROALIMENTARE ITALIANO TIRANO. MA...
Il made in Italy “dipende” dall’estero: l’ennesima conferma arriva dal report sui distretti del Servizio Studi Intesa San Paolo, da cui emerge che i distretti agroalimentari italiani hanno fatto segnare un +7,6% di volume di affari nel 2011 sul 2010, soprattutto grazie all’export, recuperando il terreno perso nella prima fase della crisi: quasi tutti i distretti (solo 3 “eccezioni” su 44) nel 2011 hanno superato i livelli del 2007.
Ed i distretti dai risultati migliori sono quelli del vino: dal Trentino con il Trentodoc ai vini veronesi, Amarone in primis, dal territorio del Prosecco di Conegliano e Valdobbiadene alla Toscana con il Chianti, fino al Piemonte di Langhe, Roero e Monferrato, che è il distretto al top, con un export in crescita dell’8,5% per un valore che supera il miliardo, con un “surplus” di 241,7 milioni di euro sul 2007.
Tra gli altri distretti, ottime performance del lattiero-caseario in Lombardia, con il solo export che vale 686 milioni di euro. Ma è il mercato italiano quello che preoccupa di più e che sarà più difficile anche nel 2012: “la domanda del mercato interno si confermerà debole e l’incremento della disoccupazione unito agli effetti delle manovre di correzione dei conti pubblici sulle famiglie, fa prevedere una nuova riduzione dei consumi, che potrebbe interessare l’settore agroalimentare come già nel biennio 2008-2009, e nel 2011”.
E così, come ripetiamo da tempo, l’export diventa più una via obbligata che una possibilità, anche se, per Intesa San Paolo, sta cambiando la cartina geografica delle esportazioni: negli ultimi 6 anni si sono ridimensionate, nel complesso, quelle nei mercati più “maturi per l’agroalimentare italiano, ma sono cresciute nei Paesi emergenti, Cina e Russia su tutti.
Ma a preoccupare le imprese del wine & food italiano è anche l’esposizione al debito: secondo l’analisi di Coldiretti sull’indagine della Cgia di Mestre, nel 2011 hanno chiuso 50.000 aziende, e sono aumentate del 30% quelle in sofferenza nel far fronte ai debiti pregressi. E come se non bastasse, per Coldiretti, il costo del denaro in agricoltura ha raggiunto il 6%, ed è più alto del 30% sulla media dell’industria, senza contare che 6 imprese su 10 hanno difficoltà ad accedere al credito.
da WINENEWS.IT - 16 Aprile 2012
Distretti del vino in Veneto |
Tra gli altri distretti, ottime performance del lattiero-caseario in Lombardia, con il solo export che vale 686 milioni di euro. Ma è il mercato italiano quello che preoccupa di più e che sarà più difficile anche nel 2012: “la domanda del mercato interno si confermerà debole e l’incremento della disoccupazione unito agli effetti delle manovre di correzione dei conti pubblici sulle famiglie, fa prevedere una nuova riduzione dei consumi, che potrebbe interessare l’settore agroalimentare come già nel biennio 2008-2009, e nel 2011”.
E così, come ripetiamo da tempo, l’export diventa più una via obbligata che una possibilità, anche se, per Intesa San Paolo, sta cambiando la cartina geografica delle esportazioni: negli ultimi 6 anni si sono ridimensionate, nel complesso, quelle nei mercati più “maturi per l’agroalimentare italiano, ma sono cresciute nei Paesi emergenti, Cina e Russia su tutti.
Ma a preoccupare le imprese del wine & food italiano è anche l’esposizione al debito: secondo l’analisi di Coldiretti sull’indagine della Cgia di Mestre, nel 2011 hanno chiuso 50.000 aziende, e sono aumentate del 30% quelle in sofferenza nel far fronte ai debiti pregressi. E come se non bastasse, per Coldiretti, il costo del denaro in agricoltura ha raggiunto il 6%, ed è più alto del 30% sulla media dell’industria, senza contare che 6 imprese su 10 hanno difficoltà ad accedere al credito.
da WINENEWS.IT - 16 Aprile 2012
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