Potremo rinominarlo "L’oro verde". Di fronte a così tante frodi, è chiaro come intorno all’olio di oliva e ancor più all’extra-vergine, giri un interesse notevole da parte dei contraffattori. Le storie sono tante e variegate. La somministrazione di oli di oliva alla ristorazione in contenitori non conformi o etichettati in maniera irregolare è il minimo che si possa riscontrare nel panorama delle criticità di questo prodotto.
Miscelazioni con oli di semi o addirittura lampanti, colorazioni con la clorofilla, "deodorazioni". Tutte però hanno un comune denominatore: la contraffazione finalizzata a far credere che si tratti di olio extra vergine di qualità e ITALIANO.
Secondo L’Agenzia delle Dogane, nel 2011, l’Italia ha importato oltre 35 milioni di chilogrammi di olio esportato oltre 156 milioni, soprattutto nel Nord America. In particolare all’estero si contano numerosi casi di "italian sounding", dove il concetto di italianità rappresenta un vero e proprio strumento di marketing. La difesa dalla frodi di questo prodotto assume pertanto una elevata rilevanza sia dal punto di vista di tutela della salute del consumatore, della qualità che della onestà di tanti produttori italiani.
Una frode che ha creato molto clamore è la cosiddetta"deodorazione". E il virgolettato è d’obbligo. La "deodorazione" non ha niente a che fare con l’aggiunta di un deodorante o altre sostanze all’olio. Si tratta, in realtà, di una operazione di rettifica per allontanare le sostanze volatili aventi cattivo odore e avviene tramite distillazione in corrente di vapore, sottovuoto e alla temperatura di circa 200° C5. Si tratta di un procedimento applicato a olive mal conservate e trattate con metodologie assenti in Italia, ma molto diffuse in altri paesi. La presenza di alti livelli alchil esteri potrebbe, quindi, essere un indicatore della falsa origine italiana delle olive. Contro questa pratica esiste un nuovo strumento di lotta: il Reg. Ue 61/2011 che introduce un nuovo metodo di valutazione degli oli d’oliva e degli oli di sansa d’oliva.
- Nel febbraio 2011 il Nucleo Agroalimentare Forestale di Roma del Corpo forestale, a seguito di una lunga indagine iniziata nel settembre del 2010, ha riscontrato, presso diversi stabilimenti di, ha riscontrato, presso diversi stabilimenti di confezionamento a Firenze, Reggio Emilia, Genova e Pavia documenti di trasporto falsificati utilizzati per regolarizzare una partita di 450 mila chilogrammi di olio extravergine di oliva destinata ad essere commercializzata, per un valore di circa 4 milioni di euro. L’ipotesi degli investigatori era che i documenti siano stati contraffatti per ingannare sulla vera natura del prodotto che, secondo la Procura di Firenze, conterrebbe olio di oliva deodorato, di bassa qualità e dal valore commerciale tre volte inferiore a quello etichettato come extravergine.
Questo può essere definito come il primo grande maxi sequestro di olio deodorato.
- Nell’agosto 2011 altri 9.000 litri di olio di oliva "deodorato" proveniente dalla Spagna e dalla Grecia sono stati sequestrati invece dal Comando Carabinieri Politiche Agricole e Alimentari.
La "deodorazione" è solo una delle alchimie dell’olio. Forse la più nuova. Non mancano, infatti, le classiche, come le miscelazioni con oli di qualità inferiori e le "colorazioni".
- Fortunati, quindi, i clienti di alcuni ristoratori toscani a cui era destinato "olio extravergine di oliva" che in realtà era composto da una miscela di olio di semi con aggiunta di clorofilla .
E magari, gli ignari cittadini seduti al tavolo avrebbero pensato che si fosse trattato di olio italiano, o per giunta toscano. Così non è stato. Per fortuna. Perché i NAS sequestrarono quel prodotto nel giugno 2011.
- Spudoratamente "100% italiano" erano invece i 38.501,52 quintali di olio extravergine di oliva
sequestrati dal Dipartimento dell’Ispettorato centrale della tutela della qualità e repressione frodi dei prodotti agroalimentari (ICQRF), in collaborazione con la Guardia di Finanza di Siena, a giugno 2012. In realtà il prodotto era ottenuto dalla miscelazione di prodotti di origine spagnola e greca, venduto a numerose ditte imbottigliatrici ad un prezzo assolutamente in linea con le aspettative del mercato nazionale.
Meno male che ci sono i controlli. Questo è certo. E meno male che anche le istituzioni e la normativa si adegui alle nuove forme di alchimia dell’oro verde. Dopo il successo ottenuto con il Regolamento 182 del 2009 (che prevede l'obbligo di indicare in etichetta l'origine delle olive impiegate per produrre l'olio vergine ed extravergine di oliva in tutta la Comunità Ue), il 2011 lo ricorderemo per il già citato Regolamento 61 sugli alchil esteri.
Attualmente è in discussione il disegno di legge 3211 recante "Norme sulla qualità e la trasparenza della filiera degli oli di oliva vergini", che nasce proprio dall’esigenza di ostacolare la commissione di attività fraudolente e pratiche commerciali scorrette nell’ambito della filiera degli oli di oliva vergini. Tra le novità principali proprio un limite inferiore di alchil esteri a quello previsto dal Reg. 61/2011 (25/30 mg/kg) per gli oli 100% italiani e l’estensione dell’applicazione di più rigorose disposizioni penali a tutela del commercio nelle ipotesi di fallace indicazione nell’uso del marchio, quando abbia per oggetto oli di oliva vergini.
di Silvia Biasotto.
Fonte: Contraffazioni e truffe "Italia a tavola 2012" IX rapporto sulla sicurezza alimentare del
MDC e Lega Ambiente.
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